sto arrivando, piccola Jane [balzane derive salingeriane]

Quello che mi piaceva erano i suoi occhi quando rubavano le immagini. Come quando stavamo a guardare il laghetto ghiacciato e ci chiedevamo dei cigni e compagnia bella. Che poi mentre camminavamo nel parco mi bastava guardarla e vedevo ancora il laghetto e poi però, a lato, decisamente a lato, mi pareva di scorgere una sagoma. Sembrava il mio contorno. Sembravo io stretto nel mio cappotto e il cappello rosso da cacciatore che chissà dov’è finito, però ora non mi va di cercarlo, che sono quasi in ritardo, come sempre, come in ogni cosa e non sembra mai il momento più opportuno per ricordare, per ripensare a quei giorni strani, che sembrava che c’ero solo io al centro del mondo. Voglio dire, mi sembrava di non contare una tacca, eppure quella tacca mi sembrava fosse fondamentale per fare girare molte cose, ma forse è solo una cosa che ho pensato per non scomparire, per non fare la fine dei cigni d’inverno o del ghiaccio in primavera.

Odio dovermi vestire come quelli. Quelli sono tutto ciò che mi rende questo mondo difficile da digerire. Non è vero, non digerisco neanche i troppo buoni senza divisa, che sorridono sempre, né i cani che stanno sempre sulle palle, ma quelli che si vestono così sono davvero il peggio. Perché, mi chiedo, hanno avuto bisogno di una divisa, se sono così forti. Perché mettersi un vestito è come indossare una divisa, ecco cos’è. Una maledetta divisa per occasioni mondane in cui sono gradite solo persone con la divisa. A me sembra una debolezza, questo mi sembra. E poi, come si fa a non avere mai delle macchie sulle scarpe. Voglio dire, io non ce la faccio. Io che ho i piedi di una misura spropositata rispetto alla mia altezza, come pretendono che non picchi con le scarpe di tanto in tanto, e mica posso stare lì a controllare che non ci siano macchie o microscopiche righe. Mi pagassero, certo, lo farei, ma non mi pagano. Nessuno li paga eppure loro si sentono felici così. La verità è che gli basta poco. Un vestito e un paio di scarpe, come carta da parati usa e getta, e non ci sono più buchi nelle loro personalità, non ci sono più vuoti nelle loro esistenze. Un vestito gli basta, e prima o poi tanto arriva Natale o il giorno del Ringraziamento. Ora devo stare attento, sono in ritardo e quelli in divisa non guardano mai di buon occhio quelli che arrivano in ritardo, e a me non è che frega come mi guardano, ma alla piccola Jane sì. Questa sera mi metto in divisa solo per lei. Avevo altri progetti. Avevo il mio rito dell’annullamento del sabato. Come segno di ribellione contro quelli che si accendono solo di sabato ed escono e vanno a ballare e a ubriacarsi. Io invece, per oppormi al loro noioso cerimoniale, al sabato mi spengo. Mi chiudo in camera e ascolto musica. Ascolto musica, catalogo musica, passo ore a battere il tempo col piede, a ciondolare la testa, tanto che certe volte mi viene perfino male, alla testa intendo, o al collo, a forza del continuo avanti e indietro, o anche di lato, dipende.

Sto arrivando Jane. Con su uno di quei vestiti che ti fa pensare agli attori delle serie tv che ti piacciono tanto. Sto arrivando Jane. Sto arrivando su di un catamarano bianco che vola. Sto arrivando Jane, travestito da uomo come piaceva a te, che amavi vedermi recitare la parte di quelli normali.

Sto arrivando, piccola Jane.

l’invadente serenità di un giovane kebabbaro

– C’è che non si può sempre stare sulla soglia ad aspettare che un ricordo sbiadisca o che arrivi un sogno a salvarci. C’è tanta di quella roba lì in mezzo che rinunciarci è semplicemente controproducente e non in senso astratto, ma proprio è un camion che arriva dritto a tutto a velocità, da distanza ragguardevole, ma con il poco fraintendibile intento di ridurci a poltiglia. Per cui si tratta di ore, giorni e mesi che stiamo lì in mezzo alla carreggiata, manco fossimo dei Gandalf che ti fanno l’incantesimo e salvano baracca e burattini proprio allo scadere dell’ultima scena del film. No, c’è poco da inventarsi, se non ti levi ti appiattiscono. C’è poco da fare, non c’è immaginazione o poteri magici che tengano. Non in questo mondo qui, per il poco che sono riuscito a capirci io, di questo tipo di mondo qui.
– Ci stai provando di nuovo.
– A fare che?
– A insinuarmi il dubbio che un laureato affascinante come me non dovrebbe passare la vita a vendere Kebab. Sei un subdolo! Almeno parla chiaramente, dillo!
– Macché! Però se ci hai pensato, mi sa che ti sei poco innocentemente chiamato in causa da solo. Devi avere ancora un po’ di coscienza non corrotta lì dentro da qualche parte…
– No. Sono corrotto cento per cento. E poi senti, sono l’unico italiano, in Italia, che lavora per un kebabbaro arabo. Ci sarà ben del merito in tutto questo. Perché non lo vuoi riconoscere. Ti scoccia riconoscerlo. Avverto dell’invidia malcelata…
– Invida? Ma che c’hai dentro la testa? Cosa galleggia lì dentro? C’è ancora della vita?
– Ti prego cambiamo discorso. Che ne so andiamo su di un argomento affine. La bagnina bionda. Quella che legge i manga e fa tutte le facce buffe…
– Lavori 10 ore al giorno. Cinque euro l’ora, forse netti, ma mi sa che menti. Non hai una vita sociale. Non bevi neanche più perché a forza di stare là dentro ti sei preso bene delle birre analcoliche, quindi hai anche tagliato le gambe all’imprevedibilità di una notte con sbronza. Quando sei a casa dormi o leggi qualche libro sulla vita di qualche altro disagiato, tanto per sentirti meno solo. Non vieni neanche più a nuotare. Scusa tanto se da amico mi sento in dovere di farti notare che i giorni passano, quado è evidente che tu hai fraternizzato con un solo giorno e continui a rivivertelo con apparente noncuranza e divertimento da almeno dieci anni.
– Fatti i fatti tuo, cara zietta. Sai, ho sempre sognato di avere una zietta di quinto grado che mi iniziasse al sesso.
– Ma che schifo.
– Sarebbe andata bene anche una cuginetta, anche di terzo grado. Di secondo solo se proprio fosse stata figa. Di primo l’avrei accettata solo se fosse stata strafiga e minacciasse di suicidarsi in caso di rifiuto da parte mia.
– Possibile che non ti riesca di guardare il mondo con gli occhi di uno che qui ci vive e non con quelli di uno spettatore al cinema?
– L’ultima volta che ci ho messo piede volevo scoparci. Stavo con Greta e mi sembrava proprio il tipo che faceva quel genere di cose. Anzi, credo mi ci fossi messo insieme proprio perché mi aspettavo quel genere di cose, ma la delusione quando mi disse una cosa come “al cinema? ma sei matto? queste cose si fanno in camera da letto…”. Non ebbi più un’erezione per un mesetto intero.
– Me l’avevi già raccontato.
– Lo so. Era un refresh.
– Poi però siete stati insieme ancora per un po’…
– Sì. Vero. Ancora un mese. Dopo mi lasciò lei, e penso che ti riesca facile capire perché.
– Dani, fai che cazzo ti pare. Tanto arriviamo sempre al punto in cui io mi sento un matto a darti dei consigli e tu ti dimostri coglione più che mai, che poi forse è la tua versione più vera. Dev’essere così. Non c’è altra spiegazione. Sei un coglione e ti ho sopravvalutato.
– Dipende dal termine di paragone. Se mi confronti col Dalai Lama è naturale che io possa risultare un coglione. Ma se prendiamo in esame il 90% della classe politica, sono abbastanza sicuro nessun kebabbaro serio li avrebbe mai assunti, a loro.

………

– Non so perché tutte le volte se la prenda così a cuore. Preoccuparsi per la raggiunta serenità di qualcuno è una roba che mi ha sempre mandato in bestia. Sai quanta gente è stata sedotta a pensare che la propria serenità fosse in qualche modo sbagliata e dopo poco si sono trovati peggio di prima. Insoddisfatti, tra gente di cui non gli frega un cazzo e depressi. Roba che si affogherebbero nella prima bolla per pesci a portata.
Io non dico che sono felice.
Ma dico.
Cazzo.
E se fossi felice solo quando non mi sento costretto ad essere felice?
Potrebbe essere.


No?

E se tipo sognassi di scopare con Matteo? [dialogo]

– Ma se tipo tu sognassi di scopare con Matteo?
– Mi taglierei l’uccello. Hai sognato di scopare con Matteo?
– No. Ma ti sembra? Era una domanda così…
– A me non verrebbe mai una domanda così. Matteo ha sognato di scopare con me?
– Non che io sappia.
– Tu hai sognato di scopare con me?
– No. Non che io ricordi.
– Vuoi dire che secondo te esistono delle possibilità per cui tu…
– Non me la sento certo di escluderlo al cento per cento.
– Ti piaccio?
– Ma no.
– Sicuro?
– Sicuro.
– Perché non ti piaccio?
– Perché non sei il mio tipo.
– Ci sono maschi che sono il tuo tipo?
– Non li conosco tutti. Magari uno su un miliardo c’è.
– Quindi per te l’omosessualità e un po’ come il principe azzurro.
– Perché no…
– Vuoi dirmi che potresti un giorno trovare l’uomo della tua vita e buttare nel cesso anni di eterosessualità?
– Non lo escludo.
– Ma cazzo, tu non escludi niente. Non si fa così.
– Perché no?
– Perché uno deve avercele delle certezze.
– Di sicuro dovrò essere innamorato come un matto. Questa è la certezza che ho.
– Potrebbe anche essere un papero o un bue?
– Ma no.
– Perché no?
– Stiamo parlando di persone con cui condividere esperienze, fare sesso, discutere…
– Ahahah mi fa ridere che rispondi proprio a tutto.
– Sai, uno domanda e uno risponde…
– Ma se uno ti fa una domanda idiota potresti anche esimerti.
– Ah. Ma non mi sembrava idiota la tua domanda. Passi ore intere a guardare quei filmatini con attrici amatoriali e animali di varie specie…
– Ma che c’entra. Lo faccio per ridere.
– A me non sembra, anzi…sono abbastanza sicuro di averti interrotto.. l’altra sera, davanti a un asino e una bionda maggiorata… o era una carpa che inghiottiva un pene?
– Ma smettila. Torniamo a noi.
– Ah ecco, ora vuoi tornare a noi. Va bene. Sono un buono. Allora, che penseresti dopo un sogno con Matteo a novanta davanti a te?
– Penserei che sarebbe il caso di trovarmi una donna, perché a non scopare non ne esce nulla di buono.
– Non penseresti che magari Matteo potrebbe essere l’uomo della tua vita?
– Senti, ho sognato anche di volare, non per questo ho creduto di essere un elicottero!
– Sì, forse hai ragione.
– Certo che ho ragione. Frociazzo!
– Vuoi sapere cosa penso io?
– No.
– Tranquillo, guarda che non lo dico a nessuno della tua eccitazione per le carpe…
– Va bene, spara.
– Penso che bisognerebbe fregarsene di tutti. Eterosessuali, omo, lesbiche, trans…
– Ah, che bella merda che sei. Finalmente esci allo scoperto. Sei peggio di me, Adolf!!
– Ma no, voglio dire che dovrebbe essere irrilevante. Dovrebbero restare proibiti certi atteggiamenti in pubblico, ma a tutti. Che se poi non ci sono più divieti e si può scopare in pubblico, mi salirebbe l’ansia che ormai siamo indifferenti a tutto. L’imbarazzo secondo me è una cosa tutta umana che vorrei conservare, ma a parte questo…. chi se ne frega. Che gliene frega allo Stato di chi si sposa, se chi si sposa si ama. L’amore non è una roba naturale e dopo secoli di elucubrazioni non potrebbe esserlo. L’amore è una roba che ormai ha vita sua e ci abbellisce.
– E il sesso coi i minori? Magari è amore!
– Che c’entra? Sei proprio un coglione. Lì si tratta di non avere strumenti a sufficienza per gestire un rapporto tanto incasinato come quello sessuale. Si tratta di prevenire al più possibile traumi devastanti e manipolazioni.
– Sì. Va bene. Saggio del cazzo. Io continuo con le mie maggiorenni e qualche milf quando capita… Tu fai pure quel che cazzo ti pare.
– Figa anche per me.
– Hai detto figa?
– Sì, ma solo per fraternizzare un po’ con un barbaro..
– Tanto lo so che aspetti il principe azzurro, frocettino.
– Non sarebbero cazzi tuoi. E ti lascio col dubbio. Tanto per non farti passare notti tranquille…
– Chiudo la porta.
– L’amore non lo fermi con una serratura…..trema!!!

(….)

– Ciao…no, non gli ho detto che l’hai sognato. Perché ancora non è pronto. Tu però hai messo una buona parola con lei? Sì? Lo so, non sarà proprio una passeggiata, non è proprio una a cui puoi fare un incanesimo e fermarla lì, da qualche parte. Comunque grazie! No, non lo sa che ho beccato una tua foto sul suo pc. Che poi ancora non sappiamo, magari ti vuole solo bene. Va a sapere. Però sarebbe figo se restasse in famiglia. Ciao fratellino!

il colloquio [ monologo di un cuore che ha smarrito un battito ]

Buongiorno.. cioè buonasera.
uno non sa mai che dire quando si trova tra le quattro e le cinque
quando comincia la sera? c’entra il sole? d’inverno quindi il buonasera comincia prima
mentre d’estate è buongiorno fino alle otto inoltrate, non lo so, ma non siamo qui per questo..
giusto, non siamo qui per questo

vede, come forse avrà letto sul mio curriculum vitae…
sì, certo, sono io quello della foto.
no, non è proprio dell’altro ieri.
sì che lo aggiorno. l’ho sempre aggiornato. infatti come vede…
no be’, come foto ho lasciato quella dei vent’anni.
non mi somiglia più molto.. dice?
d’altra parte neppure io mi assomiglio più molto, mi sembra corretto mostrare a chi potrebbe eventualmente assumermi, anche come sono stato, com’ero. sapere come le persone cambiano nel tempo, nessuno ci pensa, ma è importante. si capisce lo stile di vita, le aspirazioni che lo hanno guidato.. no, non devo insegnarle io il lavoro.. sì, certo. d’accordo. dicevamo..

sì c’è stata. un pausa importante tra l’ultimo esame e la laurea triennale..
no, certo, ho sempre avuto medie decisamente alte..
perché una pausa di più di un anno?
guardi, solitamente liquido la faccenda divagando, parlando dell’importanza dell’incertezza e la difficoltà delle scelte.. ma a lei voglio dire la verità
è che mi prese una specie di collasso

sì, quelle robe che è come se non ti battesse più .. robe non è il termine più adatto lo so
insomma, svenni. mi ricoverarono e mi trovarono come una sindrome…
no, nulla di grave. certo, allora dormivo poco, fumavo, anche qualche cannetta.. ma no, mai visto un pusher, non so neppure come siano fatti.. voglio dire, sono come noi? ci assomigliano.. ? non lo so.
mi ricoverarono per una decina di giorni. che poi come ho detto non è che mi si era proprio fermato il cuore, ma l’impressione era quella. una specie di battito in meno.. sì, ecco, il cuore saltò un battito
e ora la prego, non faccia come tutti.. e mi ponga la domanda più appropriata..
nessuno me lo chiede mai..

se potrebbe accadermi ancora? non era questa la domanda che avrei voluto, ma capisco possa essere per lei un’informazione necessaria.. doveste assumermi, sapere almeno quanto elevata sia la probabilità che muoia da una momento all’altro.. mi pare una curiosità legittima
la risposta è .. sì
ma le probabilità sono minime e comunque non ne morirei
su, ora però, ora me la faccia l’altra domanda, quella che si smette di fare a una certa età, ma è la più importante di tutte…
lei ha figli? ecco, che cos’è che le chiede suo … ah non parla ancora?
va bene, ma tra un po’ parlerà.. e lei sa già che dovrà risponde ad un numero imprecisato di ..
esatto…..di perché!!
“perché?” è la domanda giusta.
e la risposta è: perché quel battito era preso da tutt’altro per ricordarsi che il suo unico scopo sarebbe dovuto essere permettermi di vivere… perché non c’era posto per altri pensieri, neppure per quelli inconsci, solo connessioni nervose interrotte e arrivederci..
è successo quando le sue labbra si trovarono adese alle mie, due superfici pulite perfettamente, come si raccomandano i produttori di colla a presa rapida…che lei converrà con me, non lo facciamo mai, non accade mai.. lei si è mai messo a scartavetrare le superfici per farle incollare meglio.. no! io mai. nessuno mai lo fa. noi eravamo invece superfici perfette adese in modo naturale, senza residui, come nati così… in piedi su di un marciapiede, davanti ad un negozio di maschere da carnevale, sotto un cielo cremisi e intorno a noi le case erano crollate, la gente scomparsa e solo orizzonti lontanissimi…un paesaggio simile a quello di ken shiro o di mad max.. non so se ha presente.. dopo l’ennesimo conflitto atomico, il mondo raso al suolo… lei non guardava i cartoni.. ad ogni modo, provavo quella sensazione di onnipotenza che uno crede che solo un dio.. e in fondo mi stava succedendo un po’ come con la torre di babele.. e mi sono sentito proprio come dio e quello non ha aspettato un secondo di più.. zang, una saetta dritta al cuore e zitti tutti. nessuna possibilità di replica. lui fa sempre così. non si discute con lui. con lui non si ragiona. e io ho sempre diffidato di gente così ed è per questo che da un po’ di tempo diffido di dio. diffido di quel suo modo cialtrone di esistere e non esistere. della sufficienza con cui ci guarda e non ci guarda. del modo in cui prima ti fa credere di essere terribile, temibile, una furia se lo si contraddice se non si rispettano le alleanze i patti e poi, qualche secolo dopo, eccolo a cena con noi neanche fosse il vecchio zio che arriva dal veneto. come posso fidarmi di uno così. uno che lancia un gesù per farlo crocifiggere e ne lancia uno in centinaia di migliaia di anni e si pretende ch’io creda ai libri scritti da gente che fino a poco prima credeva in creature mitologiche e dei antropomorfi. voglio dire, sei dio, datti un po’ da fare. almeno un gesù ogni cento, duecento anni e magari non farli finire tutti a male. non faccia il fagnano dio, su, insomma.

da come mi sta guardando devo dedurre che lei invece vi ripone una cieca fiducia in questo grande visir dell’aldilà. Sa qual è il fatto? è che io della gente mi fido, possono pensare come me ed io come loro, e in ogni caso posso comprenderli ed eventualmente scegliere di non fidarmi, ma perché li capisco. Li vedo, li analizzo, ce li ho davanti agli occhi e loro giocano la loro parte davanti a me e insieme a me, stesso ufficio, stessa strada, stesso mondo… stesso palcoscenico. Dio no. Se anche fosse tutte le cose buone che molti dicono di lui, io non saprò mai, ma nemmeno mi ci avvicinerò o ne avrò un intuizione, com’egli arrivi a certe conclusioni, cosa potrebbe pensare, come reagirebbe se… e mi chiedo quale logica sia affrontabile se posta comunque in termini di eternità… E’ per questo che le dico che io di dio non mi fido. Perché se ti si ferma il cuore nel momento più intenso e sognato della tua vita, allora se esiste, se esiste c’è di mezzo lui. e se invece non ci fosse di mezzo lui, allora sarà insignificante che ci sia o non ci sia. Se al mio presunto libero arbitrio corrisponde il suo arbitrio libero e onnipotente, allora tanto vale. Una mano in cui il croupier può decidere a suo piacimento di intervenire facendo le veci del caso, è una mano truccata. Questa vita è truccata…un vita truccata che nessuno ha il potere di mandare a monte. Nessuno li ha capiti, ma i babilonesi ci hanno provato ad avvicinarsi, per sentire meglio, per capire… e lei sa bene la fine che hanno fatto… forse sono andato un po’ oltre.. è che ultimamente, ho molto tempo per pensare, sa…..

tornando a noi… sapevo che a lei avrei voluto raccontare la vicenda così com’è andata, ecco perché ho portato con me i referti medici con i periodi di ricovero e ..li vuole leggere? davvero? glieli tiro fuori subito… tenga. sì, ci sono anche i controlli successivi per confermare che … No, non ho mai detto di avere avuto problemi di cuore. Era come se.. Certo, fu una situazione catalogabile sotto l’insieme delle sindromi da panico.. perché dunque un anno e mezzo di nulla per un po’ di panico? A be’, no.. certo non per quell’accidente.

vedo che ci ha preso gusto coi perché..

be’, non c’entrava lo stato di salute e neppure il panico..
caddi però in profonda depressione.. che poi mi hanno detto che il panico è tipico nelle persone depresse, per cui può essere che già lo fossi prima di quell’episodio.. sì, depresso…

perché?

perché pochi giorni dopo che mi dimisero lei mi venne a trovare
e io ero felice tanto che temetti un altro black out e, sinceramente, credo sarebbe stato molto meglio che ascoltare quello che poi mi disse..

è sicuro che lo vuole sapere? no, perché mi pare che siamo usciti un po’ dal seminato..
no, certo che no, non lo metto il naso nel suo lavoro, però…

allora.. vediamo .. fu perché mi accarezzò i capelli, e non l’aveva ancora mai fatto.. poi mi strinse una mano e mentre io mi aspettavo riprendesse dal punto in cui ci eravamo fermati.. voglio dire con il cielo cremisi e le labbra adese, ecco be’.. lei mi scagliò contro parole come fossero cazzotti… e andarono tutti a segno, perché mai avrei pensato di dovermi difendere da lei..

lei mi disse.. me lo ricordo.. parola per parola “simone, ho 24 anni, questa è l’età in cui si vive più intensamente.. è vero, no?” sì.. “e io sinceramente vorrei godermela fino in fondo, è un mio diritto, no?.. “ be’, sì, mi sembra giusto, “bene, non lo potrei fare stando con te”… “sei fragile. emotivamente instabile. a me serve un uomo…” . Discorso chiuso. E mi aveva fregato. Faceva sempre così quando voleva convincerti coi suoi ragionamenti, ad ogni passaggio ti chiedeva sempre “è vero, no?” “ho, ragione, no?” “è un mio diritto, no?”..così quando arrivava alla conclusione non è che potevi più di tanto opporti.. se le premesse sono tutte vere, le conseguenze lo dovranno essere a loro volta e lei questo lo sapeva bene. No, non sto piangendo. No, davvero se lo tenga per lei quel fazzoletto. Davvero è solo un po’ di allergia. Sono allergico a certi ricordi, tutto qui. Non è un’allergia scientificamente dimostrabile, ma sono sicuro che tutti, almeno un po’, ne soffriamo o ne abbiamo sofferto.

sì esatto, ha letto bene. ho effettivamente quello che molti direbbero, un ottimo impiego.
sì, sono direttore creativo della “suppellettili e ciapa puer communication” sì, ho scritto anche quel libro.. “e se le puntine da disegno avessero un’anima?”.. grazie sì..

..vuole sapere perché dunque ho fatto domanda per questo colloquio
data tutta la mia esperienza e i miei attuali guadagni sarebbe un passo indietro..

sì è vero…
ma c’era una cosa che dovevo assolutamente ancora fare..
ed era questo colloquio

sono qui per una ragione. per vedere me.
perché lei non lo sa, ma glielo dico ora: lei è me.
lei è quello che io non ho voluto essere
e in certi momenti della vita, capita che ci si chieda a che punto abbiamo sbagliato e se davvero abbiamo sbagliato qualcosa o se semplicemente doveva andare così.
si è trattato di scegliere e tu sei andato, con probabilmente grande serenità, in modo del tutto naturale, proprio nella direzione che io non mi sono mai sentito di prendere.

e poi c’è la tendenza a liquidare le decisioni non prese ad una relativa piccola età con la scusa “non sono pronto…sono immaturo…” sono tutte cazzate. semplicemente non ci andava. e non c’è altro d’aggiungere. io ho sempre avuto questo difetto: parlo troppo. è evidente. sì, lo è. esterno così tanti pensieri che mi viene a volte da pensare che non possano essere tutti veri o tutti ragionati, ma non riesco a trattenerli. come se fosse più forte la necessità di lasciare qualcosa di mio, una cosa qualunque, ma che suoni bene, che per qualcuno possa voler dire qualcosa.

non ha capito ancora…
allora mi dica un po’ direttore, come sta Esmeralda?
la chiamano ancora così?
e balla….? probabilmente ora insegnerà.. o sarà direttrice di qualche scuola.. o curerà le coreografie per qualche importante balletto.. me la sono sempre immaginata così…

perché piange?

sì, lo so.
sono stato un po’ crudele.
ma un piccolo dolore dovevo darglielo.
e si fidi, non è nulla, nulla rispetto a quello che provai io e che ho provato quando ho letto la notizia pochi mesi fa.

si ricorda di quel bacio che mi troncò..? quello di cui le parlavo poco fa…
erano di Serena quelle labbra.
e quelle labbra ritornarono.. e non sa quante altre volte si incollarono alle mie e non solo alle labbra…

sì, certo, la smetto. sa dev’essere il classico cinismo di quando si è stanchi dopo una lunga giornata di lavoro. ad ogni modo… finì ancora una volta e poi incontrò lei. l’altro me. quando v’incontraste aveva appena perso un figlio, lo sapeva questo? ah no..? immaginavo che non l’avrebbe raccontato. e sa perché? non per vergogna personale, ma perché mi amava così tanto che non avrebbe mai voluto far sapere che io non ero stato all’altezza di una scelta che avrebbe dovuto essere così naturale…perfetta. ah.. l’amore. in che altro modo potremmo giustificare tutte la sofferenza che comporta stare affianco ad una persona per così tanto tempo e con così tanta forza. solo con l’amore.

arrivederci. la ringrazio per tutto questo tempo. spero che almeno, in qualche modo, non sia stato inutile. anche solo per aiutarla a chiarire alcune zone d’ombra, le stesse che mi stavano uccidendo prima di venire qua e capire una volta per tutte che io non sarei mai potuto essere qualcun altro, e mai sarei potuto essere come lei. E perciò non sarebbe mai potuta andare a finire diversamente.
e la sa una cosa? mentre mi crogiolavo e morivo con i miei dubbi, ho capito che se c’è una cosa che proprio non sopporto è che qualcuno o qualcosa decida per me come io debba morire.

non si preoccupi. stia pure lì. lei è sicuramente maturo abbastanza per comprendere tutto questo.
esco da me.
Addio.

disintegram

È che non lo puoi sapere. Nessuno lo può sapere. Non credo esistano neppure servizi a pagamento o applicazioni che te lo possano spiegare. Se hai avuto ragione o se no. Se hai fatto bene o invece no. Se l’aria da donna triste che trucchi via tutte le mattine te la sia meritata o se non sia altro che l’accanimento di un dio invidioso, iroso, corroso e corrotto.

Hai accettato la lontananza. Hai assaggiato accondiscendenza. Hai deglutito solitudini chiusa sola nella quasi-stanza di una per niente-casa. Ti sei trafitta con l’orgoglio fino a farti sanguinare i sogni. E ora che sono pallidi e tremano, non sai più che fartene.

Perché ti hanno mandata via, alla fine possono dire quello che vogliono, ma la verità è che ti hanno spedita via. Ti hanno detto mille volte che qui non c’era molto posto. Che qui pagavano poco. Che qui ti avrebbero tenuto per un po’. Che se avevi progetti con quel tipo che suonava da dio, che ballava da dio, che stava in silenzio da dio, biondo, col capello nero come l’inchiostro e quel modo di stringerti che quando lo vedevi in fondo alla via già te lo immaginavi, se avevi progetti di qualsiasi genere perché uno mica si deve sposare e fare figli per forza, be’, te li potevi scordare. E una foglia, in salute quanto vuoi, incassa un colpo di vento di qua, uno di là e poi arriva la folata definitiva che la porta via. Non c’è destino alternativo per questo.

Poi ti ho vista su quel tram che ti riportava a casa, con qualche documento nuovo tra i guanti, con la faccia di chi sta per lanciarsi nel vuoto da un’altezza così grande che in fondo, come fai a dire che a un certo punto non ci siano già pronte per te un paio di ali. Come fai a dirlo. E allora ti sforzi di sognare ancora un po’ e lo fai bene. Sali su quell’aereo con quelle pesanti ali di metallo e ripensi alle ali che a un certo punto troverai anche tu.

E come si chiede al tassista di portarti da qualche parte. Come si chiede qualcosa da mangiare. Come si chiede a un uomo di farti ballare, ma che la forza per l’amore ancora non c’è. Ma tu sei in gamba. Sei un animale di quelli che si adattano in fretta. Che imparano in fretta. Tu sai come sopravvivere, e poi ci sono sempre quelle ali da qualche parte. Non le vedi ma lo sai che manca poco. Manca poco. Poco.

E sono passati così un paio d’anni.

E da qui nessuno ti manda via. Non sono come a casa tua. Che diciamocelo, non ti volevano proprio tra le palle. E poi ti prende anche qualche dubbio. Tutti quei tuoi amici che non senti più. Quelli che ti mettevano un braccio intorno alle spalle e insieme all’odore di tabacco ti raccontavano di come quella doveva essere la tua strada, il tuo inizio, la tua vera partenza. “Vai, via. Vai via, non ti vogliamo più vedere” e sorridevano. E sembrava che tutto il coraggio che non avevano avuto loro, lo dovevi avere tu. Tutto assieme in una volta sola. Tutto il loro coraggio. Ma ti viene il dubbio, e se anche loro non ti volevano tra le palle. Loro come quel tipo su cui avevi fatto dei progetti. E che fine avevano fatto i tuoi progetti. Che fine.

E poi scrivi a tua madre e va tutto bene.
Perché non va male. Puoi comprarti un sacco di scarpe. Vai agli aperitivi coi colleghi.
Vai alle serate di musica elettronica e ai concerti dei Sigur Ròs. Non puoi proprio dire che vada male.

Ma di quelle ali che aspettavi non c’è traccia.
Ti senti in viaggio, come se non fossi mai atterrata.
E parli come loro, ma non vi capite mai davvero.
Poi a volte ti illudi che non sia così e con qualcuno ti metti a ballare. Ma poi smetti, che i passi sono quelli giusti, ma lui non li ha capiti. Non li hai mai capiti. E tu hai bisogno che la gente capisca.
Però forse stai drammatizzando. Forse sono solo momenti che capitano. Succede quando hai del tempo per pensare, per pensare ad alternative migliori e sono cose che non si dovrebbero mai fare.

Allora smetti di scrivere.
Posi il foglio di carta insieme ad altri fogli di carta, in un cassetto pieno di fogli di carta.
Sfiori il cellulare. Dài un occhiata alle spudorate felicità altrui.
Sfogli e clicchi fino ad arrivare a qualche ricordo che era anche tuo.
E prendi sonno, prima che l’idea di altre vite migliori si corichi di nuovo lì accanto come un’amante fascinoso, gelido e col cuore grande 4 megapixel.

[17 – 01 – 2014]

la follia e le sue bizzarre concettualizzazioni di genere

– quello che ti voglio dire è che in tutti film romantici e i cartoni animati con cui siamo cresciuti…
– lo so, lo so: perché ci sia il lieto fine, le bruttine sfigate diventano bellissime e i cessi e poveri diventano stupendi e ricchissimi…
– queste sono conclusioni a cui arriverebbe anche il tuo criceto indiano! No, quello che ha fregato me è tutta un’altra faccenda.
– sentiamo…
– esistono spesso due figure maschili antagoniste con impianti caratteriali costruiti per essere l’uno antitesi dell’altro. il ricco e il povero, il gretto e il sensibile e via dicendo, fino a ad arrivare a giungere perfino ad opposizioni cromatiche, il biondo e il bruno che saranno figure positive o negative in base alle tendenze modaiole del momento. ad esempio, se noti bene, fumetti, serie tv e film sono attualmente costellati da donne sfoggianti fascinose chiome rosse e lentiggini..
– è vero. In Les revenants due delle protagoniste … e poi anche in Interstellar!!
– sì, bene, ora non è che dobbiamo stare qui a passare in rivista tutte le apparizioni significative di chiome rosse.
– e quella di quel favoloso film tedesco con la tipa eccentrica e bellissima che si masturba in continuazione, gioca col mestruo e ha relazioni lesbiche e che in Italia il Vaticano starà ricoprendo d’oro chiunque pur di non farlo distribuire…pure quella è rossa!
– d’accordo, sono felice tu ti sia ora accorto, e grazie a me, di questo fenomeno di costume, ma ti prego, fammi finire…
– finisci
– allora: in tutti quei film e quei cartoni che ci siamo sorbiti, la donna guarda l’uomo che detesta dicendogli cose come “non fai mai una pazzia”, “ci vorrebbe un briciolo di follia”… mentre all’altro uomo che invece desidera rivolge spesso sguardi umidi dicendogli “pazzo!”, “tu sei proprio matto”, “non ho mai fatto pazzie del genere”…
– sì, è vero, succede
– ecco, questa roba mi ha fregato.
– in che senso?
– che io ho creduto a quelle donne e le ho prese tutte alla lettera. Ma mi vedi? Sono sociopatico. Odio quasi tutti i viventi, ma non è che con la gente morta siamo messi meglio, anche buona parte dei defunti mi sta sul cazzo. preferisco ascoltare musica che qualunque cosa una persona qualunque abbia da dire. evito i posti affollati e se mi ci trovo dentro controllo che le uscite di sicurezza siano abbastanza vicine e che tutti quelli che conosco non mi vedano. cerco di risultare il più antipatico possibile in maniera tale che nessuno abbia voglia di rivolgermi la parola. oppure fingo stanchezza o magone, ma non troppo, che se poi qualcuno pensa tu sia davvero triste viene lì a cercare di consolarti e non c’è nulla di peggio di un approccio consolatorio non richiesto.
– ti conosco non c’è bisogno che….
– e poi le donne le aspettavo sotto casa con in mano qualche dono, o glielo facevo trovare. o glielo spedivo in bizzarre confezioni fatte a mano. ritagliavo le fotografie e creavo situazioni di compresenza, mia e della donna desiderata, mai esistite. lavoravo fino a nottetempo su compilation che avrebbero dovuto rispettare dozzine di criteri. scrivevo sui muri. aspettavo ore sotto la pioggia anche se avrei potuto benissimo fare un passo di lato e essere riparato da un balcone sporgente. fumavo sigarette e mi modificavo la voce per essere più uomo. correvo in bici dietro agli autobus e infilavo bigliettini sotto le porte. arrivavo con la macchina davanti casa loro in un giorno qualunque e le invitavo a partire per il mare e dimenticarsi di tutto per almeno un giorno o due…
– alcune di queste cose me l’ero perse. grazie per il riepilogo…
– vedi, io le ho prese alla lettera quelle donne dei film. certo, nel mio piccolo. però io ho cercato davvero di essere folle e matto. ma loro intendevano un’altra roba.
– che cosa intendevano?
– loro sono razionali. la follia vera le spaventa. loro intendevano follia in scatola. pre-confezionata. la follia di imitare un gesto visto in uno di quei film, o letto in un libro, ma solo quando questo gesto è lecito, e il fatto che il gesto sia lecito già lo disarciona dall’idea di follia… di interruzione del flusso razionale.
– diciamo che tu hai girato l’idea di follia come ti veniva più comoda…
– ti sembra comodo comportarsi così? fare quello che ho fatto?
– per me no, ma per la tua natura evidentemente sì. forse loro intendono più che altro, presupponendo che le donne in questione siano dotate di una testa funzionante e presente a sé stessa… Ecco forse loro intendono la follia più che altro come una forma di lotta contro la parte peggiore della nostra natura. Il nostro drago personale a cui tagliare la testa per ottenere come risarcimento il loro cuore…
– il loro cuore?
– hai capito quello che intendo..eheh..
– insomma, equivale a dire che sono più interessate allo sforzo che al risultato…
– sì..
– questa cosa è assolutamente irragionevole.
– Eh, lo so. Ma si sa, le donne sono tutte un po’ matte.
– Eh sì…

[ misterioso film citato: “Wetlands” \\ link http://goo.gl/7riIYq ]
[ canzone consigliata: “è solo un sogno” di Paolo Benvegnù
link http://goo.gl/rfRjMy ]

favolose e strazianti fessure tra le nuvole [dialogo]

– Cosa vuoi che ti dica…
– Anche niente.
– No, non è vero, tu vuoi che ti dica qualcosa.
– Veramente no. Sto andando in ufficio, e francamente questo tuo intrufolarti tra i miei pensieri non è accettabile.
– Se sono tra i tuoi pensieri è solo perché tu evidentemente volevi che io fossi qui.
– No. Hai buttato giù a spallate la porta dove ti avevo rinchiuso, e dove di tanto in tanto venivo a darti un pezzetto di pan di stelle e un goccio di latte per non farti morire di fame.
– Avresti potuto tirar su un’altra porta e blindarla meglio ancora prima che io riuscissi ad evadere, ma non l’hai fatto. E so che non te ne intendi di latte, ma se puoi evitare di rifilarmi quello di soia te ne sarei grato.
– A me fa schifo il latte.
– Lo so, infatti ti sto spiegando cos’è che gradisce uno a cui non fa schifo il latte, quello vero.
– Hai una manciata di fermate di tempo. E qui la metro corre.
– Oggi ho guardato della anatre galleggiare e sommergere la testa nel fiume e mi sono chiesto, ma non avranno freddo, è quasi novembre. Poi è passata una coppia. Lei piccola e bruttina tutta rattoppata con trucco, vestiti e occhiali alla moda, lui mezzo gigante che la vita di lei gli sarebbe stata tutta in una mano. Lui avrebbe potuto impugnarla e scriverci poesie, se solo la testa fosse stata munita di punta a sfera e inchiostro blu.
– Non ti seguo…
– Poi è sfrecciato un aereo enorme sopra la mia testa e considerando il miracolo che li tiene per aria mi son detto che se chi arriva non trova nessuno all’aeroporto per festeggiare insieme questo prodigio, non deve essere bello, è una di quelle cose che potrebbero far sentire una persona molto sola. Nessuno a rallegrarsi con te che tu sia ancora vivo.
– E quindi……
– Infine ho guardato le nuvole tutte compatte in un’unica coltre bianca senza spiragli, abbastanza alte da non nascondere un aereo che arriva o uno che se ne va. E ho realizzato che ci sono cose che durano giusto il tempo che il vento impiega a chiudere gli spazi tra le nuvole.
– Va bene, Rodolfo, però adesso devo scendere..
Rodolfo…
Rodolfo!

[ musica ascoltata durante la stesura
“Letters to the metro” \\ Mogway – https://www.youtube.com/watch?v=yLyhoZVyZKg
“Coming back again” \\ Kings of Leon – https://www.youtube.com/watch?v=0b8vWnBNlgY
“Runaway” \\ The National – https://www.youtube.com/watch?v=3dC4bHlNCr4 ]

le mani delle donne contemporanee

– Da qualche anno la frequenza con cui le donne si ravanano con la mano tra le chiappe ha superato l’apparentemente irraggiungibile record delle tastate che i maschi danno ai loro meccanismi riproduttivi ovoidali quotidianamente. Se ci pensi bene è un mutamento epocale.
– Sono passate dagli slip al perizoma, se però ci vuoi vedere dietro il segno di una rivoluzione culturale, fai pure.
– Sei miope più di quanto quei vetri spessi dei tuoi occhiali suggeriscano. Pensaci, eravamo noi quelli con le mani sempre lì. E siamo ancora così. La nostra biancheria è cambiata, gli slip li portano solo più i vecchi e quelli che non sono riusciti a liberarsi dal gusto classico della propria madre, ma nonostante le mode noi procediamo coerenti con le nostre mani attorno al pacco – quando siamo discreti solo attorno al pacco. Invece le donne, per star dietro alla moda vanno contro uno dei principi a cui loro le loro madri e le madri delle madri prima di loro si appellavano per rimproverare noi giovani virgulti dell’umanità: “via le mani da lì!” ci gridavano, e per lì intendevano sia davanti che dietro.
– E quindi?
– Devi essere stato di recente alla sesta casa di Virgo, non c’è altra spiegazione. E non capisco come sia possibile che te la sia cavata con la perdita di un solo senso, ma non sarò certo io a privarti di quest’ultimo briciolo di mistero che conservi.
– E quindi??
– Quindi, per il momento, possono ancora giustificarsi e dire che si toccano per una ragione, perché quel filetto di stoffa viene risucchiato e s’appiccica alle profondità delle loro natiche, ma presto, quando cambierà di nuovo la moda, e in periodo di saldi si ammazzeranno per avere dei mutandoni extralarge oppure si tatueranno la biancheria addosso, gli rimarrà questo gesto e nessun bambino o adulto maschio verrà più rimproverato per avere le mani lì. Perché a quel punto il simpatico cucciolo d’uomo dirà: nonna tu passi tutto il tempo a pizzicarti tra le chiappe!
– ……..
– Non capisco le tue perplessità.
Da piccolo mia madre mi legava le mani dietro la schiena per mezz’ora tutte le volte che me le trovava in posti non appropriati. Durante le prima vacanze da solo non facevo altro che tenermi la mano al caldo sotto le mutande. Lei non lo sapeva ma stava creando un mostro. Ecco, cose così tra poco non potranno più accadere. Anche questa barriera sarà abbattuta e le persone disturbate come il sottoscritto saranno sempre di meno.
– Apprezzo l’autocritica, ma resto scettico.
– Perché non ti sei mai trovato legato col desiderio forte darti una grattatina là sotto, in un punto preciso, che ti avrebbe dato sollievo da lì all’eternità…
– No, ma non mi pare…
– E poi non ti è mai successo che la bambina di cui eri pazzamente innamorato ti trovasse con la faccia goduriosa, mentre ti muovi su e giù piegando le ginocchia, strusciandoti contro l’attizzatoio nel tentativo di placare quel maledetto prurito.
– Ora capisco…una complessa pubertà.
– Avevo 21 anni.
– Sai, credo che meno cose so della tua vita e meglio è.
– T’immedesimi in me e provi compassione, vero?
– Non proprio, ma se vuoi vederla così… sì, chiamiamolo un eccesso di compassione che non vorrei provare più.
– Grazie amico.
– E di che…